giovedì 17 novembre 2016

Premessa

Betty Smith è una giovane giornalista, e lavora per un piccolo quotidiano locale. Si occupa generalmente di cronaca nera, ma lei aspira a diventare una grande giornalista. Betty è una ragazza americana ma, escludendo qualche sfumatura, potrebbe essere una ragazza italiana, spagnola, canadese. La globalizzazione ha imposto stili di vita e comportamenti simili in tutto il mondo, e Betty è figlia di questi giorni, dove non ci sono punti di riferimento, come un tempo lo erano le religioni, o le ideologie politiche.
 Infatti Betty conduce una vita con pochi valori, investe tutto sulla carriera giornalistica. Per il resto conduce una vita disordinata, beve, fuma marijuana, e quando può non disdegna il sesso, anche per non badare ai pensieri che la tormentano. Frequenta locali notturni nella misteriosa New Orleans, tra musicisti, cartomanti ed amicizie ambigue. Tuttavia, la sua vita avrà una svolta decisiva, quando scompariranno due gemelle dalla scuola Livingstone. Lei è sicura d’aver individuato il responsabile: un suo ex collega nel corso di giornalismo, un personaggio che, durante una festa, aveva tentato di prenderla con la forza. Betty è sicura, il pedofilo è lui, ma occorrono delle prove.
Tuttavia la ricerca non sarà affatto semplice, anche perché in tanti cercano di contrastarla. Il suo stesso capo non vuole che si occupi della vicenda, per questo Betty da giornalista si trasformerà in una vera e propria cacciatrice. Come assalita da una febbre irresistibile non riesce a pensare se non al pedofilo, ed alle gemelle scomparse. Man mano che procedono le sue ricerche, scoprirà delle altre, terribili atrocità. Infine comprenderà che per dare la caccia ai lupi, occorre trasformarsi in lupo.

Il primo giorno.

Un risveglio non proprio dei migliori, pensò sbuffando Betty Smith: sveglia e telefonino suonavano insieme sul suo comodino, e producevano un suono talmente fastidioso che probabilmente avrebbe risvegliato i morti. La notte precedente Betty aveva esagerato, le faceva male la testa, ed aveva un sapore amaro in bocca.
I suoi occhi erano ancora chiusi, allungò così una mano e spense la sveglia, dopodiché prese il telefonino e controllò chi la stesse chiamando: era la sua amica ed ex collega di corso, Alice.
“Che c'è?” Rispose, mentre accendeva una sigaretta.
”Scusa, ma è importante. Hai letto il giornale?”
“No, dormivo...”
”Bene, allora vieni al bar. Mi troverai lì.”
”Ma perché telefonarmi così presto solo per questo?”
”E' troppo importante!”
”Va bene, a dopo.”
 Betty Smith aveva venticinque anni, e un anno prima aveva conseguito l'abilitazione per giornalista, abitava a New Orleans e lavorava in un piccolo giornale locale.
A distanza di sei mesi dall'inizio del lavoro, Betty aveva scritto solo articoli mediocri e poco interessanti, come la cronaca di qualche festa, oppure banalissima cronaca locale. Solo Alice, una delle sue migliori amiche nonché ex collega di corso, sapeva che Betty aspettava con ansia l'illuminazione, l'evento clou che avrebbe favorito un articolo da prima pagina. Anche Alice abitava a New Orleans, ma lavorava per conto di una rivista molto più importante del NewS Orleans: Vogue, articoli su nuove tendenze, makeup e mondo della moda.
Betty era single e viveva in affitto in un piccolo appartamento al quarto piano, lontana dal centro; il NewS Orleans le pagava dieci dollari ad articolo, ma se avesse scritto un articolo sensazionale, i più importanti giornali della città avrebbero fatto la fila per assumerla.
 Infine, dopo numerosi ripensamenti, si alzò con fatica dal letto. Quando entrò al Cafè Gedde, il ragazzo dagli occhi neri la guardò, abbassando immediatamente lo sguardo. Betty non dava attenzione a quelle occhiate, l'ultima cosa a cui pensava in quel periodo era un fidanzato, l’ultimo che aveva avuto era un artista piuttosto schizzato, e per un po’ desiderava solo e soltanto tranquillità.
Si avvicinò al bancone, chiese un caffè e andò a sedersi ad un tavolo nel fondo della sala, su cui c'era una copia del giornale che faceva concorrenza al NewS Orleans.
 Alice era già seduta e la fissava con un sorrisino malizioso tra le labbra.
”Ciao Alice, sei arrivata in fretta.” commentò Betty.
”Quando ti ho telefonato ero seduta in macchina, sapevo che ci avresti messo poco...”
”Desideri qualcosa?”
”Ho già bevuto il mio caffè, leggi l'articolo.” Rispose l’amica, sfogliando il giornale sino a pagina sette. Sulla prima pagina del giornale si parlava di un ennesimo omicidio, compiuto nelle oscure strade di New Orleans. Tuttavia Betty non lesse l’articolo, e sfogliò proprio sino a pagina sette. Tuttavia, in quel preciso momento arrivò il ragazzo dagli occhi neri e poggiò il caffè di Betty, che ringraziò.

In direzione Hammond.

Betty sbadigliò per l'ennesima volta ed accese l'autoradio; aveva dormito pesantemente per tutta la notte, ma sentiva gli occhi gonfi e pesanti. Non riusciva più a smaltire le sbornie come un tempo, sentiva ancora gli effetti della sera precedente. L'orologio digitale sul cruscotto segnava le sei e quarantuno minuti e stava guidando in direzione Hammond.
A quell’ora la strada era deserta, ed il Mississipi pareva un enorme mare che tutto inghiottiva e niente restituiva. Betty ricordava i tanti bei momenti trascorsi sulle sue sponde, ma in quel momento ripensò al terribile urgano che aveva devastato la città uccidendo centinaia di persone. Quei giorni dovevano essere stati un Inferno. In quel periodo lei aveva soltanto quindici anni e viveva a Brooklyn insieme ai suoi genitori, ma non avrebbe mai dimenticato le immagini viste alla televisione.
Betty percorreva Sanders avenue; parcheggiò nel marciapiede dinanzi a quella che doveva essere l'abitazione di John e rimase seduta per  qualche minuto, spense la radio, prese la sua borsa e si avviò verso la casa.
Osservò la porta per qualche secondo, poi alzò un braccio pronta a bussare, ma proprio in quel momento la porta si spalancò: davanti a lei c'era un uomo oltre i quaranta, quasi pelato, un po' panciuto, con una dozzinale tuta da ginnastica. John la osservò un po' allarmato, tentando sicuramente di ricordarsi dove aveva già visto quel viso, mentre lei sorrideva con imbarazzo.


Un ricordo perso nella nebbia


Betty spalancò la bocca: ricordava benissimo quel giorno ma quei particolari li aveva rimossi a causa della colossale sbronza. La ricordava, perché nei giorni successivi aveva vomitato l’anima, una cosa orribile... Tuttavia non ripensava a quella serata da anni, aveva qualche ricordo sbiadito, poi il nulla.
“John... continua.”
“Alice ti accompagnava dappertutto, ma quella volta no, perché era troppo ubriaca anche lei, e così... tu sei tornata circa mezz'ora dopo in lacrime dicendo che, insomma, hai raccontato farfugliato qualcosa su George, abbiamo capito che ti aveva messo le mani addosso. Insomma. Lui aveva tentato di baciarti, insomma, alle feste queste cose possono capitare. Tuttavia George non era ubriaco, e scomparve... la cosa ci fece sospettare che aveva tentato di farti qualcosa... insomma... di molto spiacevole.”
Il cuore di Betty cominciò a battere più forte: come diavolo faceva a non ricordare niente? John sembrava dispiaciuto e scioccato quanto lei; pensava e ripensava a quanto aveva sentito, ma non riusciva proprio a far riemergere quel fatto dai suoi ricordi. Purtroppo le accadeva spesso, quando beveva, il suo cervello andava in tilt.
“Betty... tutto bene?”
 “Secondo te ha cercato di violentarmi?”
“Purtroppo non lo posso sapere. Soltanto tu, o lui, potete conoscere i fatti. Tuttavia, il fatto che tu fossi uno straccio, e lui sobrio... il fatto di non essersi fatto più vedere...”
“Quindi Alice non sa nulla?”
“Io e Charlie non siamo andati a raccontarlo, di questo puoi essere sicura.”
“Sì, ma cos'è successo dopo? I giorni successivi?”
“La festa è proseguita ma tu hai voluto che Charlie ti riaccompagnasse a casa, non hai salutato nemmeno Alice, sono stato io ad avvisarla che eri voluta rientrare perché non stavi troppo bene. George non è tornato a lezione, e dopo tre settimane mi ha telefonato per farmi sapere che si era ritirato ufficialmente...”

mercoledì 16 novembre 2016

Il capitano Mendez


Entrò nella sezione dedicata alla divisione minori, si fece indicare da un paio di agenti di polizia l'ufficio del tenente e bussò alla porta.
“Avanti.” Betty entrò e chiuse la porta alle sue spalle; il tenente alzò lo sguardo e la osservò con la consueta aria inquisitoria.
“E’ venuta a disturbarmi mentre sono in pausa?”
“Tenente, dovrei parlarle con urgenza!”
”Porca di quella miseria! Signorina Smith, faccia in fretta perché sto per andare a pranzo.”
Betty fece un paio di passi avanti e si sedette dinanzi al tenente, che tuttavia alzò un braccio, mentre sorseggiava del caffè.
”Non mi sembra di averle detto di sedersi!”
Betty sentì un'antipatia sempre più forte nei confronti di quell'uomo, ma era il suo punto di riferimento all'interno della polizia e doveva tenerselo buono.
“Oggi ho parlato con una persona che ha conosciuto George McAvery, e mi ha rivelato diverse cose su di lui che potrebbero interessarvi...”
“Come ha detto, scusi? ”
Lei rimase in silenzio, sentì la porta dell’ufficio aprirsi, ma non ci badò e rispose,
“Ho detto che ho parlato con una persona che ha...”
“Ma lei è una giornalista?” Chiese Desauge.
“Sì, esatto.”
“Lei non è un’investigatrice, ok?”
Betty stava per rispondere, quando una voce femminile intervenne.
“Mark, adesso basta!” Una poliziotta di mezz’età, poco più alta di lei, osservava seriamente il tenente.
“No, Isabela, questa signorina sta ficcando il naso in cose che non la riguardano!”
La donna osservò Betty e fece un mezzo sorriso, poi allungò una mano e si presentò.

“Capitano Isabela Mendez, piacere...”
“Betty Smith, giornalista.”
“Mark, ci troviamo davanti un quadro controverso, e mi piacerebbe conoscere ciò che ha da dirci la signorina Smith. Dobbiamo considerare con attenzione tutte le piste possibili.” Subito dopo si voltò verso Betty e aggiunse: “Si avvicini nel mio ufficio e ne parliamo, d'accordo?”
“Grazie, capitano.”
Il tenente Desauge accese un sigaro con aria irritata, non aveva mai sopportato i giornalisti. Betty seguì il capitano Mendez nel suo ufficio, si accomodò dinanzi a lei e cominciarono a parlare.
“Come ha potuto constatare, il tenente Desauge perde facilmente le staffe, ma è un ottimo agente. Io dirigo la divisione minori...”
“Voglio chiarire che non sto ficcando il naso nella vostra indagine, solo che ho personalmente conosciuto George McAvery, e so che potrebbe essere coinvolto nel rapimento delle gemelle della scuola Livingstone. Prima avevo solo sospetti, ma oggi ho ottenuto delle informazioni molto interessanti che vorrei porre alla vostra attenzione.”
“Innanzitutto: chi è George McAvery?” Domandò il capitano, mentre accendeva il suo notebook. Non conducendo lei le indagini, non era a conoscenza di tutti gli interrogati.
“E' il bidello e custode della scuola Livingstone. Ho parlato col tenente dei miei sospetti, ma mi ha detto che era già stato interrogato...”
“Mmm... E lei ritiene che sia colpevole?”
“Non sto incolpando nessuno, ma come dicevo al tenente, oggi ho parlato con un collega che ha conosciuto McAvery e mi ha rivelato dei particolari rilevanti sul suo conto.”
”Bene, ha qualche elemento di prova? Mi metta al corrente di queste rivelazioni di cui parla.”
”Certo, mi dia un attimo.”
Betty sospirò e posò il registratore sulla scrivania del capitano Mendez, premendo ‘play’. Le due donne rimasero in silenzio e ascoltarono insieme tutta la registrazione, ed il racconto di John Young.

Un amico particolare....


Conrad aveva capito di trovarsi di fronte ad una ragazza istintiva, coraggiosa e priva di esitazioni, ma sentiva dentro di sé l'obbligo di proteggerla, era come se qualcosa lo spingesse a rimanerle vicino per coprirle le spalle.
Quasi senza accorgersene, Betty gli si avvicinò, gli baciò le labbra e rimasero sul divano a scambiarsi effusioni per qualche minuto; ad un certo punto, lei si sedette a cavalcioni su di lui continuando a baciarlo, ma nel momento esatto in cui la mano di Betty scivolò nella sua zona inguinale, Conrad la bloccò.
”No, no, aspetta...” Betty lo osservò con aria interrogativa, interrompendo ogni suo movimento.
“Non... non lo faccio... così.”
“Così come?”
“Non faccio sesso al primo appuntamento. ”
“Oh... d'accordo.” Betty scese dalle sue ginocchia e si risedette al suo fianco: era certa che non avrebbe ricevuto un rifiuto, si sentiva eccitata ed attratta da lui, nessuno, prima d’allora aveva assunto quel bizzarro comportamento.
“E nemmeno al secondo...”
“Cioè sei uno di quelli che... ”
“No, no, non aspetto il matrimonio, ma... voglio aspettare che arrivi il momento giusto, ecco. Praticamente non ci conosciamo, e... ”
 “Sono a posto da quel punto di vista, se è questo che intendi... Ho fatto le analisi del sangue meno di un anno fa, uso sempre il preservativo...” Betty si alzò per cercare i risultati delle sue analisi, ma Conrad la bloccò immediatamente.
“Non preoccuparti, non voglio vedere le tue analisi del sangue... Ci sono state delle esperienze nella mia vita che mi hanno portato a pensarla così... per quanto mi riguarda, tutte le relazioni cominciate col sesso sono finite male, malissimo...
“Che sfigato”, pensò Betty, ma cerco di non ridergli in faccia. “E' ok, Conrad. Davvero, allora dormiamo insieme, facciamoci compagnia...”

Ore 4:30 A.M.

Betty si svegliò improvvisamente a causa del rumore di un tuono, e dal successivo scoppio di un temporale. Accanto a lei, anche Conrad si era addormentato, dunque si alzò dal divano e lo lasciò dormire, si avvicinò alla finestra del salone, scostò le tende ed osservò la pioggia, provando un senso di assoluta tranquillità e gioia, nonostante fosse ancora stordita dal sonno.
Betty aveva dormito in camera da letto e la mattina, entrando in salotto, notò che Conrad le aveva lasciato un biglietto sul mobile vicino all'ingresso:
Sono stato benissimo ma oggi devo lavorare, questo è il mio numero, chiamami quando vuoi: 5558894.
Betty sorrise, pensando a quanto fosse stordito quel ragazzo, e segnò il numero nella rubrica del suo telefonino, dunque si vestì e decise che quella mattina sarebbe andata a parlare con la madre delle bambine rapite, per ottenere qualche informazione sul padre, ancora il maggiore sospettato del rapimento. 

La casa di Vela Cove

Betty aveva guidato in silenzio per la quasi totalità del viaggio, per raggiungere l'ultima casa, l'abitazione delle vacanze di McAvery. La nebbia avvolgeva ancora ogni cosa, ma fortunatamente non pioveva. Di tanto in tanto Betty sorseggiava del Rum, il suo alcolico preferito, per scaldarsi dall’umidità che le penetrava nelle ossa. Betty pensò alla sera precedente, lei e Conrad erano andati al King, per ascoltare del buon jazz. Un uomo sulla quarantina l’aveva osservata maliziosamente per tutta la serata, se non ci fosse stato Conrad, forse ci sarebbe stata. Da tempo non trascorreva una sana notte di sesso. Questo pensiero, la portò all’ennesima Philip Morris.
Nel frattempo macchine arrugginite ed ammaccate sbucavano improvvisamente dalla nebbia, ma Betty continuava a schiacciare sull’acceleratore. Conrad era ammutolito, intimorito dalla veemenza con cui Betty lanciava la vecchia Aston Martin.
Erano dunque arrivati verso le otto del mattino: davanti a loro si stagliava il lago, ed a sinistra si ergeva una bellissima casa color beige, molto elegante, col tetto spiovente e circondata da un prato verde. Betty parcheggiò vicino al lago, nel vialetto che aveva andamento circolare, per poi ricongiungersi col vialetto d'ingresso all'abitazione. Conrad la guardò per qualche secondo.
 "Sei sicura... vuoi che venga anch'io?”
“Non avrebbe senso, rimani qui a controllare che non arrivi nessuno, se vedi qualche macchina in lontananza che si avvicina mi chiami al cellulare. Poi metti in moto e fai finta di essere un turista che si è perso, ed ha voluto fare qualche foto, io me la caverò, cercherò di uscire dal retro e ti raggiungerò dopo... Andrà tutto bene, Conrad.”
”Non fare cazzate, intesi? Se senti qualsiasi rumore... corri e vai via. Mi trovi qui, ok?”
Betty annuì e scese dall'auto, Conrad andò a sedersi al posto di guida e accese la radio, tenendola a basso volume. La ragazza camminò lungo il vialetto e osservò porta principale e finestre, nel tentativo di scorgere qualche movimento sospetto. C'era una calma totale, il silenzio più assoluto, nessuna luce e nessun movimento. Tentò di aprire la porta forzando la serratura, senza fare eccessivamente rumore, ma non ottenne nessun risultato. Infine vide una finestra aperta di pochissimi centimetri, così si avvicinò e la sollevò. Con molto sforzo e molta pazienza, riposandosi un paio di volte, riuscì ad ottenere uno spiraglio che le permettesse di passare.

martedì 15 novembre 2016

Perseveranza

Aveva voglia di raccogliere l’oggetto, ma pensò che forse avrebbe dovuto chiamare la polizia. Si buttò per terra e rimase così, a pensare sul da farsi: in pochi secondi, tutte le sue convinzioni si erano rivelate vere. Tuttavia, pensò, McAvery poteva frequentare un’altra donna, che magari aveva dei bambini. Doveva restare calma, e non azzardare nessuna conclusione.
 Dopo qualche minuto si calmò e cominciò a guardarsi intorno, finché il suo sguardo non cadde sul pavimento e qualcosa attirò la sua attenzione. C'era una sorta di quadrato dove il contorno delle mattonelle si faceva più chiaro; con le dita seguì il contorno, era come se al di sotto ci fosse un gradino. Sempre più velocemente cercò di aprire quella che secondo lei era una botola, convincendosi che le bambine fossero nascoste là.
Stava per perdere ogni speranza, finché non le venne in mente di spingere quel quadrato, così sentì un ‘clic’ e la botola si scostò dal pavimento; la sollevò e si trovò dinanzi ad una rampa di scale.
 “O mio Dio... le ho trovate!” Sussurrò. Cominciò dunque a scendere le scale lentamente, e si ritrovò avvolta dall’oscurità più totale, respirando un forte odore acre di umidità.
Cercò la torcia nella tasca della giacca e l’accese dinanzi a sé: si trovava in un ambiente edificato successivamente, scavato dall'interno della camera da un letto per creare un apposito nascondiglio. Era un ambiente di pochi metri quadrati, buio e con una finestrella su una parete da cui entrava un po' di luce; illuminò il pavimento intorno a sé, finché non vide un lettino che si trovava in un cantuccio scavato nella roccia, una sorta di culla, ed un corpicino raggomitolato su di esso, voltato verso il muro.
Betty spalancò la bocca, incredula dinanzi ad un così orrendo spettacolo; si avvicinò alla bambina e le tastò il polso, sospirando e rendendosi conto che era viva, probabilmente solo addormentata. Prese la piccola tra le braccia, e le passò le mani sui capelli.
 “Mamma...” sussurrò la piccola.
“Ti ci porto subito, tesoro, non dire più nulla...”
La piccola era sudata e tremante, con gli abiti e i capelli sporchi, Betty la tenne in braccio e con fatica riuscì a risalire, rientrando in camera da letto. La fece sedere e si rese conto che era pallida, ed i capelli spettinati e pieni di nodi.
 “Devi dirmi dov'è tua sorella...”
La bimba la osservò impaurita ed intimidita.
“E' qui anche lei?” Niente, nessuna risposta.
Betty scese nuovamente nel nascondiglio e la cercò dappertutto, ma non la trovò.
Infine risalì, richiuse la botola e si sedette proprio dinanzi alla bambina, osservandola per un po'. Cos'avrebbe dovuto fare? La bambina si era distesa sul pavimento ed osservava il suo piccolo dito mentre passava tra una mattonella e l'altra, guardando di tanto in tanto Betty con curiosità.

Fu in quel momento che Betty decise di agire: prese il cellulare e chiamò la centrale di polizia, chiedendo di farsi passare il tenente Desauge.

Una ragazza troppo curiosa.

Paul Carey si era appena acceso un sigaro cubano, sedendosi sul divano a dondolo sul retro della sua casa in Vela Cove, fissando il lago proprio dinanzi ai suoi occhi. Quando ripensava alla sua vita in città, provava una certa soddisfazione per la scelta fatta, ovvero vivere in una località tranquilla. Durante l’inverno c'era una pace assoluta e lui aveva sentito il bisogno di vivere fuori dal caos della città per il resto dei suoi giorni, specialmente ora, ormai alla soglia dei settant'anni. Lui amava New Orleans, ma dopo Katrina, per le strade, comparivano nella sua mente i numerosi morti sparsi per le strade.

Sua moglie Gabrielle era già andata a letto e Paul sentiva il suono della televisione accesa: stava guardando il gioco a premi in seconda serata, replica della puntata del pomeriggio. Era mezzanotte passata e cominciava a fare freddo, Paul indossava solo una maglia a maniche corte, così decise di bere un sorso del suo Bourbon, per scaldarsi un po'.

Continuò ad osservare il lago, quando sentì dei rumori provenire dal cespuglio di siepi in fondo al cortile; fermò il suo dondolare e rimase ad osservare con circospezione il cespuglio, quando nuovamente sentì quel rumore, simile ad un fruscio, seguito questa volta da uno strascichio simile ad un rumore di passi.
Paul si alzò in piedi e con la coda dell'occhio vide il rastrello che utilizzava per curare le piante del giardino: lo prese e si avvicinò ai cespugli.
“Paul! Psssst!” Paul riconobbe quella voce ma non riuscì a trovare una spiegazione alla situazione; in quel preciso momento, il suo vicino di casa George McAvery apparve come un fantasma spaventato.
“George, vecchio mio! Ciao!”
“No, Paul, non urlare, per piacere!” Paul notò ansia negli occhi dell’amico, così decise di abbassare la voce ed ascoltare ciò che doveva dirgli.

“Cosa cavolo è successo, George?”
“Non lo so di preciso, ma devi aiutarmi...”
“E come posso...?”
“Cos'è successo questo pomeriggio a casa mia?”
Paul Carey rimase in silenzio per qualche secondo, un po' spaesato, e cominciò a pensare che il suo vicino si fosse messo in qualche grosso guaio.

“George, c'era la polizia tutta la sera... non si sono occupati del vicinato. Domani leggerò i giornali per vedere se c'è qualche notizia più precisa...” rispose Paul con sincerità. Era una persona che si faceva i fatti suoi, convinto si potesse vivere bene e in armonia con gli altri solo comportandosi così, ma il caos ed il via vai della polizia, quel pomeriggio, l’aveva osservato con un pizzico di curiosità.
“Paul... Una ragazza si è introdotta in casa mia?”
”Ho visto una ragazza nei paraggi, ma... cos'hai combinato, George? Cos'è successo?”

Alice

Betty spostò la bottiglia di Whisky dal tavolino dinanzi al divano e la poggiò momentaneamente sul pavimento; si inginocchiò, poggiò la borsa sul divano e sfilò  l'elastico: si trattava di quattro fogli A4 che, messi insieme in un certo ordine, mostravano la rappresentazione di un progetto edile.
Betty fece una smorfia: che si trattasse del progetto della casa sul lago di McAvery? No, non poteva essere. Si trattava di una casa di almeno 80/100 mq e la casa di Vela Cove era al massimo 50/60 mq.
Dopo un attimo d’incertezza, cominciò a studiare attentamente quel progetto: era un prospetto ben strutturato, con cucina, salone, soggiorno, corridoio, camera da letto, bagno ed un piccolo stanzino... Rimase un’ora concentrata su quei fogli, ma non trovò niente che potesse servirle. Intanto cominciò a squillare il cellulare, destandola da tutti quei pensieri.
 “Alice?”
“Betty? Allora sei viva!”.
“Ciao Alice, sì... sto bene...”
“Si può sapere che fine hai fatto? Ero preoccupata... non starai ancora dando la caccia a McAvery?” Domandò Alice con un pizzico di ironia.
“Beh, sto dando una mano alla polizia, diciamo...”
“In che senso? Hai scoperto qualcosa?”
“Non posso parlartene... ci sarà una conferenza stampa a breve e saprai ogni cosa.”
“Non ho tempo di star dietro a fatti di cronaca, tesoro. Però puoi anticiparmi qualcosa...”
“Non posso, Alice! Posso dirti che finalmente la polizia sta focalizzando le indagini su di lui. Dovrei rimanerne fuori, ma ogni giorno che passa scopro elementi sempre più interessanti...”
“Non farmi preoccupare, ok? Chiamami ogni tanto. Altrimenti sarò costretta a ritornare a New Orleans.”
“Perché? Dove ti trovi, scusa?”
Alice scoppiò a ridere e Betty capì che stava morendo dalla voglia di dirle qualcosa.
“Sono a Milano! C'è la settimana della moda e sto facendo un reportage.”
“Wow! Sono felice per te.”
Betty sapeva quanto fosse importante Milano per Alice, era stato un suo sogno sin da quando avevano cominciato a lavorare come giornaliste.
”Senti... inizialmente avevo intenzione di chiederti di venire con me, ma poi qualcosa mi ha fermato: ho pensato che forse ti trovavi dinanzi al caso della tua vita, quello che darà una sterzata alla tua vita professionale! Adesso, però, mi sto preoccupando...”
”Tranquilla, un amico mi guarda le spalle...”
”Ah sì? Beh, questo significa che al mio ritorno avremo qualcosa di cui parlare.”
”Credo proprio di sì...” rispose Betty, ripensando tristemente a Conrad.
”Ora devo andare, tesoro mio. Sta per cominciare una sfilata. A presto!”
“Ciao Alice, ed in bocca al lupo per il reportage!”
Betty osservò il telefonino per un po', cercando di convincersi di telefonare a Conrad. Tuttavia si alzò, entrò in cucina e si preparò un caffè, mentre un tuono faceva presagire lo scoppio di un temporale. Trascorse l’intera mattinata a casa, scrisse qualche riga del suo articolo, telefonò alla madre, pranzò, velocemente, sonnecchiò un'ora sul divano e nel pomeriggio decise di uscire. Per prima cosa si recò al Caffè Gedde: Quando entrò, lui la osservò e un timido sorriso comparve tra le sue labbra.

July Melrose.


July Melrose uscì dall'Amperstand, verso le cinque del mattino. Non c’era la solita nebbia, ma il cielo era coperto da nuvole minacciose, ed in lontananza si sentivano tuoni che non lasciavano presagire nulla di buono: sarebbe stata una giornata di pioggia, ed in quei momenti ricordava sempre i giorni dell’uragano Katrina, quando aveva perso suo fratello Johnny. Il cuore, allora, le si riempiva di tristezza.
Stava già immaginando di sprofondare nel calore del suo letto, mentre attraversava a passo svelto il parcheggio dinanzi al nightclub. Quella volta aveva parcheggiato lontano e ciò non le piaceva affatto, soprattutto quando cominciò a sentire dei passi alle sue spalle. Rallentò la sua andatura e si voltò, ma non vide nessuno, solo il parcheggio deserto. Rimase a guardarsi intorno per un po', cercando di notare anche il più piccolo dettaglio, poi ricominciò a percorrere la breve salita che l'avrebbe portata verso la sua automobile, finché non risentì quei passi, accompagnati da una risata maschile.
Il cuore cominciò a batterle sempre più forte, rallentò nuovamente il passo e in quel preciso momento decise di correre. Nello stesso momento sentì dei passi veloci e lo spostamento d'aria alle sue spalle le fece capire che qualcuno cercava d’afferrarla. July urlò,chiese aiuto, ma non c’era nessuno.
Arrivò a pochi passi dall’automobile, quando notò i fari di una macchina in fondo alla strada sempre più vicini. Un sorriso comparve tra le sue labbra e non si rese nemmeno conto di essersi bloccata, lasciando tempo d’azione al suo aggressore.
Cominciò a sbracciarsi per chiedere aiuto, ma l'auto corse ad estrema velocità e le andò contro, colpendola alla gamba e al lato sinistro del corpo. July venne sbalzata indietro e cadde pesantemente sull'asfalto, mentre l'auto che l'aveva investita si fermò emettendo un forte stridore.
 July si lamentò e tentò di alzarsi, ma il bacino le faceva troppo male. In quel momento lo vide. La vista era annebbiata ma riuscì a scorgere alcuni tratti del viso: un uomo dai capelli chiari, magro e col naso affilato: la prese per la collottola e cominciò a scuoterla, sbattendole la testa sull'asfalto.
“Puttana! Cosa ci facevi a casa mia?”
“Io... io... basta...per favore, basta...”
Ma l'aggressore continuava a sbatterle la testa sull'asfalto, rannicchiato sopra di lei e fissandola con sguardo pazzo e carico di rancore.
“Puttana! Mi hai rovinato!”
July perse conoscenza pochi secondi prima di sentire quelle parole; l'aggressore prese un coltello da macellaio e dilaniò il suo corpo con una ventina di coltellate. Dunque si alzò e corse via, salendo nuovamente sulla sua auto. Il corpo esanime e sanguinante di July Melrose rimase disteso sull'asfalto, quasi in mezzo alla strada, finché mezz'ora dopo non venne notato da una pattuglia della polizia che sorvegliava la zona.

L'interrogatorio.

Betty era seduta su quella sedia da quasi mezz'ora, con una coperta sulle spalle per scaldarsi e una tazza di tè caldo tra le mani; Conrad era vicino a lei e si erano tenuti per mano per tutto il tempo. Si trovavano accanto alla sala dell'interrogatorio dove si trovava la bambina e stavano aspettando che qualcuno venisse a parlare con loro, ma erano tutti molto presi dalla novità e stavano affrontando con nervosismo ed eccessiva fretta l'evoluzione del caso: era stata chiamata una psichiatra infantile, una certa Brenda Detaux, allo scopo d’interrogare la bimba, e ovviamente anche Maureen, la madre.
Assistettero a tutta la scena: videro arrivare una donnina di un metro e cinquanta con capelli castani lisci tagliati a caschetto, tacchi e un tailleur nero, una valigetta in una mano e un IPhone nell'altra. Il tenente Desauge la accolse dandole due baci sulla guancia, le chiese come stesse e l’accompagnò nella stanza dell'interrogatorio; la bambina era già stata visitata da un pediatra, lavata, cambiata d'abito, idratata e nutrita.

Il tenente Desauge si sedette dinanzi a Betty e la osservò con occhi inquisitori.
 - Sappia che non ho bisogno della sua ramanzina, so di essere nella merda fino al collo, ma ho ritrovato la bambina, e ora deve giurarmi che farete il possibile per ritrovare l'altra. - sbottò Betty, guardandolo fisso negli occhi.

 - Senta stronzetta, ci ha fornito un valido aiuto e per quanto riguarda i suoi problemi con la polizia... ancora non sappiamo come ci comporteremo. Volevo comunicarle qualche informazione sulla bambina ritrovata: è Abigail Bolden, Abby. Secondo il medico era disidratata e malnutrita, oltre che terrorizzata e sotto shock. Non parla, e speriamo che la dottoressa Detaux riesca a farle dire qualcosa che possa rivelarsi utile. E' una vecchia stronza, ma sa fare il suo lavoro. - 

lunedì 14 novembre 2016

Quella singolare inquietudine: Katrina!

Paul Carey si era appena acceso un sigaro cubano, sedendosi sul divano a dondolo sul retro della sua casa in Vela cove, fissando il lago proprio dinanzi ai suoi occhi. Sul tavolino alla sua destra un posacenere e un bicchiere di Bourbon.

Quando ripensava alla sua vita in città, non era affatto pentito della scelta fatta, ovvero vivere in una località turistica tutto l'anno. Durante l’inverno c'era una pace assoluta e impagabile e lui aveva sentito il bisogno di vivere fuori dal caos della città per il resto dei suoi giorni, specialmente ora che era arrivato alla soglia dei settant'anni. Lui amava New Orleans, ma dopo Katrina uno strano senso d’inquietudine si era impadronito di lui, per le strade, rivedeva i numerosi morti del tornado.

Sua moglie Gabrielle era già andata a letto e Paul riusciva a sentire il rumore della televisione accesa: stava sicuramente guardando il gioco a premi in seconda serata, replica della puntata del pomeriggio.

Era mezzanotte passata e cominciava a fare freddo, Paul indossava solo un paio di jeans ed una maglia a maniche corte, così decise di bere un sorso del suo Bourbon per scaldarsi un po'. Continuò ad osservare il lago, quando sentì dei rumori provenire dal cespuglio di siepi in fondo al cortile; fermò il suo dondolare e rimase ad osservare con circospezione il cespuglio, quando nuovamente sentì quel rumore, simile ad un fruscio, seguito questa volta da uno strascichio simile ad un rumore di passi.

Paul si alzò in piedi e con la coda dell'occhio vide il rastrello che usava per curare le piante poggiato sul muro della casa; lo prese e si avvicinò ai cespugli, pronto a darlo sulla testa a chiunque si fosse permesso di entrare in casa sua.


Brano tratto da “La cacciatrice”, di Roberta Marongiu.

La cacciatrice "L'appartamento."

Betty spostò la bottiglia di Whisky dal tavolino di fronte al divano e la poggiò momentaneamente sul pavimento; s’inginocchiò, poggiò la borsa sul divano e sfilò  l'elastico: si trattava di quattro fogli A4 che, messi insieme in un certo ordine, mostravano la rappresentazione di un progetto edile.
Betty fece una smorfia: che si trattasse del progetto della casa sul lago di George McAvery? No, non poteva essere. Si trattava di una casa di almeno 80/100 mq e la casa al lago era al massimo 50/60 mq.
Dopo un attimo di sconcerto, cominciò ad analizzare attentamente quel progetto... era un prospetto molto ben composto, con cucina, salone e soggiorno, corridoio, camera da letto, bagno e un piccolo stanzino, tutto intorno un giardino. Non si rese conto di essere rimasta quasi un'ora ad analizzare attentamente quel progetto, valutando ogni minimo dettaglio, ma non trovò niente che potesse aiutarla a portare avanti il caso; improvvisamente cominciò a squillare il suo telefonino e questo la destò da tutti quei pensieri. Rispose senza nemmeno guardare chi fosse.
 - Pronto? -
 - Betty? Allora sei viva! - Era Alice e Betty fu ben felice di sentirla. Si alzò e si mise seduta sul divano.
 - Ciao Alice, sì... sto bene -
 - Si può sapere che fine hai fatto? Ero preoccupata... non starai ancora dando la caccia a McAvery? - Domandò Alice con un pizzico d'ironia.
 - Beh, sto dando una mano alla polizia, diciamo... -
 - In che senso? Hai scoperto qualcosa? -
 - Non posso parlartene... ci sarà una conferenza stampa a breve e scoprirai tutto. -
 - Non ho tempo di star dietro a fatti di cronaca, tesoro. Però puoi anticiparmi qualcosa... -

 - Non posso, Alice! Posso solo dirti che finalmente la polizia sta focalizzando le indagini su di lui per vari motivi... dovrei rimanerne fuori, ma ogni giorno che passa scopro cose sempre più interessanti...  
Brano tratto da "La cacciatrice" di Roberta Marongiu.